Manicomio di Volterra – il più grande d’Italia
Ho sempre saputo dell’esistenza del Manicomio di Volterra, così vicino a casa ma così lontano da me nei miei pensieri.
Quel luogo mi ha sempre attratto e tante volte sono andato con la Vespa davanti al cancello, sempre inesorabilmente chiuso, dei padiglioni di “Poggio alle Croci”. Altre volte invece sono sceso sotto l’attuale ospedale verso altri padiglioni ed il Cimitero di “San Finocchi”. Mi sono “divorato” il libro sui graffiti di “N.O.F.4” (dopo ci arriverò) e per finire mi sono goduto il gioco “The Town of Light” ambientato proprio nel Manicomio di Volterra. Titolo azzeccato per un luogo che da sempre balla fra luci ed ombre.
“Qua siete già dentro al Manicomio”
Arrivati al parcheggio all’ingresso dell’ospedale di Volterra ci accoglie Alessandro (che avevo conosciuto su Instagram tramite il profilo @manicomiodivolterra) che ci accompagna verso l’edificio che fa da biglietteria e da museo.
Fatto il biglietto inizia la visita guidata e la prima cosa che ci viene detta è: “Qua siete già dentro al Manicomio”. Infatti l’area del Manicomio di Volterra era enorme, alla sua massima espansione contava più di 50 padiglioni e 5000 pazienti. Come riconoscere l’area del frenocomio? Semplice: basta osservare la disposizione dei mattoni dei parapetti. Tutta la zona è caratterizzata da dei parapetti formati da mattoncini posizionati con uno schema del tutto particolare. La biglietteria stessa faceva parte di un padiglione, il “Lombroso” dove ai tempi vi era l’accettazione dei nuovi arrivati.
Abbiamo dovuto abbandonare lo stereotipo che tutti abbiamo di una “gabbia di matti”, questa struttura era all’avanguardia in Italia grazie alla lungimiranza del Dott. Luigi Scabia che capì la filosofia del lasciare liberi i pazienti. Le persone classificate come “tranquille” avevano la libertà di passeggiare dentro quello che fu il parco del Manicomio, un giardino splendido pieno di piante e fiori ben curati dai pazienti stessi. Negli anni la struttura manicomiale divenne una città nella città ed una città che aiutò la città. Nel pane e nei pochi generi alimentari lavorati dai pazienti la città di Volterra trovò la salvezza nei durissimi anni della 2° Guerra Mondiale; uomini che non essendo stati mandati in guerra lavoravano nei settori fondamentali per la società.
L’ombra di “Poggio alle Croci”
Nella prima metà del ‘900 il Ministero di Grazia e Giustizia obbligò il Dott. Scabia alla costruzione di un’ala per i pazienti colpevoli di crimini ma giudicati mentalmente instabili. Nacquero così i padiglioni “Charcot”, “Maragliano” e “Ferri”; nascosti dal bosco ma sempre pensati e costruiti per non sembrare una prigione.
“Charcot” è il padiglione protagonista del videogioco “The Town of Light” che ho giocato e finito cercando di immergermi il più possibile nella storia. La sensazione che ho provato salendo le scale che portano al padiglione è indescrivibile: il colpo d’occhio è identico sia nella realtà che nel videogioco, quindi devo fare i complimenti agli sviluppatori che hanno fatto un lavoro eccezionale.
Dopo un rapido passaggio da “Maragliano” dove venivano curati i pazienti affetti da tubercolosi, arriviamo al padiglione “Ferri” dove entriamo all’interno del suo giardino.
La Geniale Follia
Sul muro perimetrale del padiglione “Ferri” un uomo dal nome Fernando Nannetti, con la fibbia del gilet, incise una sorta di diario personale. Un diario dove scriveva fra le tante cose teorie futuristiche per l’epoca come l’allunaggio del 1969, del quale sbagliò la data prevista di pochi giorni. Al termine dei suoi scritti si firmava “N.O.F.4”, acronimo di Nannetti Oreste Ferdinando 4. il numero ha varie interpretazioni ma nessuno sa quale sia il suo vero significato.
Nannetti, nato a Roma, dopo varie peripezie fu internato nel Manicomio di Volterra dove rimase fino alla sua chiusura. Morì in una casa di riposo sempre a Volterra dove è tutt’oggi sepolto.
La storia sua e dei suoi graffiti merita veramente un approfondimento ed una valorizzazione nazionale. Una percentuale purtroppo altissima è stata persa a causa del degrado della struttura ma i ragazzi dell’associazione che si occupa delle visite guidate stanno provando a salvarne il più possibile.
Il museo e la fine della visita
Alla fine della passeggiata ci siamo diretti all’interno del museo dove sono conservati alcuni macchinari medici utilizzati all’epoca, fotografie, utensili e molto altro. Soprattutto però ci sono alcuni frammenti dell’opera di “N.O.F.4” portati in salvo dal “Ferri”.
Qua si conclude la visita al complesso manicomiale di Volterra, un’esperienza durata quasi 3 ore che sono parse a tutti 10 minuti. Questo grazie alla passione e alla competenza di Alice ed Alessandro che hanno saputo farci immergere in quella realtà che fino a quel momento ci sembrava così lontana sia nei modi che nel tempo.
Grazie alla onlus “Inclusione Graffi e Parola” ed al sito manicomiodivolterra.it per provare a tenere vivo il ricordo e la storia del Manicomio. Una storia che meriterebbe di essere valorizzata e studiata ma che invece, qui a Volterra, in Italia, viene lasciata li ad autodistruggersi sotto i colpi che ogni giorno la natura infligge a queste strutture.
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